C’ero anch’io, quel giorno, quando si parlava male di quell’extracomunitario (a cui l’unica colpa che si poteva attribuirgli era quella di non aver la pelle bianca) e non ho preso le sue difese.
C’ero anch’io quando hanno detto in chiesa che si andava a trovare gli anziani della casa di riposo, e non sono riuscito a ritagliarmi due ore di tempo.
C’ero anch’io fuori dal supermercato quando una madre e sua figlia mi hanno chiesto l’elemosina, ed io non ho saputo far altro che guardarle con aria di sufficienza.
C’ero anch’io quando quei due miei amici, dopo un’accesa discussione, si stavano per prendere a botte e io sono intervenuto troppo tardi…
Per questo, tra la folla che quel giorno gridava di lasciar libero Barabba e voleva che ti condannassero a morte, c’ero anch’io. Ho pensato tante volte a quell’avvenimento: ho provato a dimenticarmi di quel giorno; mi sono illuso di nascondermi dietro i capi dei sacerdoti, che ci avevano convinto che eri tu il “criminale”; ho, infine, provato a dar la colpa a Pilato, ma la tua condanna a morte è anche colpa mia. Mi sono sempre vergognato di dirlo, ma ora perché devo continuare a nascondermi?
La visione che abbiamo della condanna a morte ci porta subito a pensare ad una fucilazione, ad un siero iniettato nel sangue, alla sedia elettrica, alla croce… Altresì, condannare a morte una persona non vuol dire solo spezzare la vita nel grembo materno, lanciare le “bombe intelligenti” su “civili innocenti” o minacciare la popolazione coltivando progetti di bombe atomiche. Ma condannare a morte una persona vuol dire anche stare in silenzio quando si parla di queste cose. Vuol dire tacere di fronte a qualcuno che racconta una barzelletta sugli ebrei o brontola contro l’islam o contro i neri. Tacere quando c’è qualcuno che non capisce dove può portare l’odio contro forme di civilizzazione diverse dalla nostra. Il lavarsi le mani di Pilato non fa altro che amplificare il nostro terribile grido di lasciar libero Barabba.
Non possiamo allora che rivolgerci a te, Madre Addolorata, affinché interceda presso tuo figlio. Si è fatto uomo per essere condannato a morte dagli uomini, e ci ha insegnato ad non avere paura delle nostre debolezze e dei nostri sbagli, perché la sua Resurrezione ha vinto il nostro peccato. Tu che lo hai seguito nella via della croce e, al termine della sua vita terrena, lo hai accolto a braccia aperte come una madre aspetta il proprio figlio, fa in modo che riusciamo a comprendere che il modo che abbiamo per salvare la vita a tante persone, evitando a loro la condanna a morte passa attraverso l’accoglienza, l’ascolto e il rispetto reciproco. Questo ci ha insegnato, accettando la morte in croce, tuo figlio e questo è quello a cui vogliamo e dobbiamo arrivare per costruire finalmente un mondo di giustizia e di pace.

Paolo

Nessun commento: