Commenti

Non serve il crocefisso che, spesso, portiamo al collo. Non serve il gesto quotidiano del segno della croce. No, non serve. Non serve a ricordarci che adesso che il tuo corpo è diventato un tutt’uno con la croce, adesso che hai patito dolore e sofferenza per la nostra salvezza, quella croce che hai portato sul Calvario e che adesso ti vede inchiodato ci ha liberato da ogni altra pazzia egoistica. La tua passione e la tua morte avrebbero dovuto convincerci che proprio perché tuoi discepoli, di te crocifisso, non avremmo mai potuto più trovarci dalla parte dei carnefici. Invece no, non è servito.
Alla tua croce ogni giorno inchiodiamo ammalati, portatori di handicap, anziani soli, stranieri, uomini, donne e bambini affamati. Mentre impieghiamo risorse immense per le nostre stupide guerre, l’assistenza agli ultimi e agli indifesi si deve accontentare delle briciole dei nostri bilanci. E tu continui a essere inchiodato sulla croce. Tu che hai lottato per la libertà e la redenzione degli uomini, ora ti rivolgi a Dio gridando il dolore di tutti gli uomini che dubitano della sua presenza.
Uno stralcio della bellissima omelia pronunciata dal vescovo Tonino Bello, nella Cattedrale di Molfetta per la Messa Crismale del 16 aprile 1987 recita così:

Si sale sulla Croce ogni volta che si vuol dare una mano agli ultimi, ai poveri, ai diseredati, partendo dal loro angolo prospettico e non dall'osservatorio dei benpensanti e dei garantiti.
Si sale sulla Croce ogni volta che si è chiamati a quella forma di martirio, straziante e dolcissimo, che si chiama perdono, nel cui oceano, in questo momento, vorremmo chiedere al Signore di poter tutti naufragare. Solo se intriso del nostro sangue di martiri, del nostro coraggio di profeti, della nostra fierezza regale… il grano della pace non rimarrà più ad abbrustolirsi nei campi al sole di luglio, ma diventerà finalmente “pane nostro quotidiano” sulla mensa degli uomini.
Non possiamo quindi che vedere le tue labbra, che pronunziano ora una preghiera che è simile a un soffio e che è rivolta al Tuo Padre celeste: «Padre, perdonali!». Quel perdono che avevi insegnato come una delle leggi fondamentali della tua morale, ora lo rendi visibile nella tua vita. È quel perdono senza limiti, concesso fino a settanta volte sette, che avevi richiesto a Pietro. È quel porgere l'altra guancia, cedere anche il mantello e lasciarsi trascinare per un altro miglio di strada da chi sta infierendo su di te in modo ottuso e violento. Perché dal tuo coraggio di rinunciare alla violenza comprenda quanto la sua violenza è cieca e bestiale, e ne sia liberato.
«Padre, perdonali!»: la tua voce esile pervade i secoli e giunge sino a noi, a una società che preferisce la vendetta, la prevaricazione e il dominio. Sono parole simili a quelle che avevi già pronunziato su un monte della Galilea davanti ai discepoli che ti ascoltavano: «Se voi perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi, ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».

Aiutaci, Signore a non crocifiggere più fratelli e sorelle che soffrono e chiedono anche solo di essere ascoltati, e schioda ciascuno di noi dal peso dell’egoismo, perché finalmente liberi, riusciamo a ragionare con la nostra mente illuminata dal tuo amore per compiere quello che tu veramente vuoi.

Paolo

Nessun commento: