Quella giornata ebbe per il Cireneo uno sviluppo imprevisto: non sappiamo se furono ritardati i suoi impegni e i progetti del momento, o se addirittura – incrociando forse lo sguardo di quel condannato – venne sconvolta la sua vita e il ricordo dell’aiuto dato gli restò impresso nel tempo.
Non sappiamo, ma la sua è diventata l’icona di colui che deve sobbarcarsi i pesi altrui nel nascondimento, una specie di Cenerentola, relegato a ruoli secondari e faticosi.
Ma la parte del Cireneo è una specie di condanna a cui non ci si può sottrarre, o non piuttosto un’opportunità?
Questo portare la croce con Gesù è solo un peso da accettare, o può diventare un’occasione per farne un programma? Un aiuto che ci diamo reciprocamente e che diamo alla società per capire i segni dei tempi, per saper progredire nello sviluppo integrale, per saperci liberare da tante cose che ci condizionano.
L’opinionista Barbara Spinelli la scorsa settimana su un quotidiano ci ricordava alcune questioni gravi che a livello mondiale preoccupano: Stati che si stanno riarmando pericolosamente; i Ceceni trattati con una barbarie degna di Stalin (fosse di 6 metri dentro cui si gettano i prigionieri, tenuti sotto terra per essere venduti e giornalmente seviziati); la guerra tra palestinesi e israeliani, i disastri climatici originati dall’uomo, la difficile ripresa economica a Occidente; potremmo aggiungere i tanti conflitti locali in Africa, il debito dei paesi poveri, le questioni ambientali, il pericolo derivante da un uso distorto delle nuove tecnologie e dalle sperimentazioni genetiche che non solo minacciano, ma stanno già modificando, le basi delle democrazie.
Queste sono tutte questioni che dipendono anche da quelle che saranno le nostre scelte di vita e dal non restare solo spettatori (nella sua Lettera Apostolica per l’inizio del nuovo millennio il Papa dice che «si deve respingere la tentazione di una spiritualità intimistica ed individualistica, che mal si comporrebbe con le esigenze della carità»). Non è vero che sono cose più grandi di noi. Purché non ci lasciamo irretire dalla volontà dei potenti o dalle varie multinazionali.
Dobbiamo però cominciare da casa nostra, dalla nostra città, dagli stili abituali che dobbiamo infrangere per riprenderci la libertà, creare comunitariamente e suggerire azioni concrete di solidarietà (quali occasioni reali di lavoro, o inserimento dignitoso agli immigrati superando il generico buonismo): lavorare per il bene comune superando visioni individualistiche o di piccoli gruppi; aiutare a crescere culturalmente; combattere la spinta al consumismo; tornare a vivere le domeniche dedicandole al Signore e al riposo; ritornare da parte delle famiglia a esercitare un ruolo educativo e costruire momenti di riflessione e incontro per far circolare idee e valori (sempre per citare la lettera apostolica del Papa: «La carità si farà necessariamente servizio alla cultura, alla politica, all’economia, alla famiglia»).
Per essere capaci a portare la croce insieme a Gesù presente nelle persone, dobbiamo come suggerisce il Concilio dimostrare nei fatti che le Gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto, e di tutti coloro che soffrono sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.
A volte siamo noi, però, ad aver bisogno di amici che ci aiutino a portare le nostra croce. Riflettere su questo momento della passione di Gesù ci invita a ringraziare i Cirenei che si sacrificano per darci una mano, per non farci cadere o per sollevarci nelle difficoltà dei nostri impegni.

Carlo

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